Gli ultimi eretici dell’Impero
Gli ultimi eretici dell’Impero (e/o del comunismo) / di Lorenzo Mazzoni | 9 febbraio 201 /Ilfattoquotidiano.it
Avevo davvero voglia e bisogno di letture che contenessero una sana e genuina dignità culturale e sociale e ho trovato due libri che mi hanno riempito di domande, mi hanno fatto commuovere, mi hanno dato speranza. Si tratta de “Gli ultimi eretici dell’Impero” e “L’ultimo comunista”.
Vasile Ernu, scrittore e filosofo romeno della Bessarabia, nato in URSS nel 1971, ma trasferitosi in Romania nel 1991, con “Gli ultimi eretici dell’Impero”(Hacca, 2012) ha compiuto un’operazione originale, provocante e di alta letteratura. La storia narrata nel romanzo è semplice, si tratta di uno serrato scambio epistolare tra A.I., il Grande Istigatore, colui che in gioventù tentò di assassinare Stalin, e Vasilij Andreevič, figlio della Perestrojka, dissidente contemporaneo, impegnato a smascherare e sabotare i meccanismi totalitari del capitalismo. “Gli ultimi eretici dell’Impero” è uno scambio di storie, dalle disquisizioni sulla liberazione dell’uomo attraverso l’assunzione di sostanze alcoliche, al terrorismo internazionale; dalle sette religiose, al disinganno delle democrazie occidentali; dai gulag della Russia sovietica ai gulag glamour del mondo capitalista, un mondo dove le banche e i manager tengono le chiavi di un’immensa prigione in cui spesso non ci accorgiamo di vivere, anzi, di sopravvivere, imbruttendoci.
Il libro è pieno di ironiche e deliziose dissertazioni, così scopriamo che in fondo quello che appariva come il libro più credibile sui campi di rieducazione, “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solženicyn, in verità è una bufala adatta a un pubblico non russo, da preferirgli “Racconti della Kolyma” di Varlam Šalamov, colui che, avendo subito in prima persona gli abusi made in Siberia, smaschera il collega rivelando che nei gulag non c’erano cucchiai, come ampiamente descritto nel romanzo di Solženicyn, e che arriva ad affermare che non sono la politica, l’ideologia, l’eccesso ad aver generato il gulag, il totalitarismo, i dittatori, bensì la loro assenza.
Scopriamo che Nicolae Ceaușescu non è mai esistito. È stato un oleogramma del popolo romeno. È stato il popolo a produrlo, sia coloro che lo hanno acclamato, sia quelli che lo hanno subito, tacendo. Una proiezione collettiva, alla quale hanno contribuito tutti, anche i dissidenti, pochi, una proiezione che ha preso vita perché l’intera nazione l’ha voluta e poi, puf!, cancellata.
Vasile Ernu ci spiega, sagacemente, che le colpe della Storia sono di tutti, nessuno può lavarsene le mani, anche se pare che non ci siano volontari per prendersi le responsabilità di quanto avvenuto nei regimi comunisti (come del resto in questa deriva senza sbocchi del mondo globalizzato). Inoltre ci dice tra le righe, o forse l’ho intuito solo io, che Silvio Berlusconi è il più stalinista fra tutti i politici (?) italiani contemporanei: ‘Per il dissidente radicale il comunismo è l’incarnazione del Male sulla terra. Questo dissidente opera nella più pura logica staliniana, è il prodotto staliniano per eccellenza, poiché pensa secondo una banale logica dualista: compagno o nemico, bene o male. Spesso diviene partigiano di un’unica opinione: lotta contro un ‘male totale’, legittimando un ‘bene totale’.
La stessa straordinaria dignità del libro di Vasile Ernu l’ho ritrovata ne “L’ultimo comunista” di Matthias Frings (Voland). Siamo nel 1980 a Berlino Ovest. Il ventenne Ronald M. Schernikau, convinto comunista, omosessuale dichiarato, autore di un romanzo shock autobiografico, è la star del momento, di giorno letteratura e politica, di notte discoteche, cabaret e spettacoli ‘en travesti’. Figlio di una ragazza madre che mai si è adattata a quell’Ovest tanto agognato da tutti, ha un solo obiettivo: tornare a Berlino Est. Novembre 1989. Mentre migliaia di cittadini scavalcano il Muro per emigrare a Ovest, solo una persona va nella direzione opposta: il nuovo passaporto dello scrittore Ronald M. Schernikau sarà l’ultimo emesso dalle autorità della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca. Storia di un uomo e di un artista che ha oltrepassato ogni limite, e a cui è impossibile non affezionarsi.
Nella testa di Giacomo Verri / Glamour.it /
L’autore di Partigiano Inverno (Nutrimenti), finalista al Premio Italo Calvino 2011, ci racconta le sue letture e il nuovo romanzo a cui sta pensando.
NELLA TESTA DEGLI SCRITTORI
a cura di Caterina Morgantini
Che cosa ho in testa perché lo sto leggendo
Difficile indirizzare la mia scelta su un solo titolo; preferirei piuttosto parlare di costellazioni tematiche, di arcipelaghi testuali. Prima di tutto sento ancora bene allignati tra le pieghe del cervello quei romanzi che hanno fatta la bella base del mio Partigiano Inverno: il Fenoglio, soprattutto del Partigiano Johnny e di Una questione privata, il Calvino del Sentiero, Gadda, e altri. In specie mi viene in mente il Meneghello dei Piccoli maestri che – lo confesso – ho letto dopo la stesura del romanzo, ma lo percepisco con una potenza retroattiva (se mai questa cosa possa avere un senso). Mi piace pensare che in qualche modo quel Meneghello fosse giunto a me anche prima, attraverso un dialogo indiretto, mediato da altri libri. Mi è rimasta bene in testa questa frase di Maria Corti che introduce il testo meneghelliano: “l’eroismo ci fu nel momento storico resistenziale; il modo di renderlo in letteratura poteva essere o epico-lirico, come seppe fare Fenoglio […], o condito di antieroismo, cioè di misura media umana […] Meneghello è andato avanti su questa seconda strada”. Adesso posso dire che una delle mie più grandi aspirazioni è stata quella di pormi in mezzo ai due grandi campioni, irrimediabilmente lontano, come è ovvio.
Dei libri letti più di recente ho un bel segno lasciato da un autore rumeno, Vasile Ernu il cui romanzo più recente, Gli ultimi eretici dell’impero (Edizioni Hacca), è un vero e proprio vangelo, scritto con la pacatezza di una cronaca medievale, su come e cosa stia diventando il mondo dopo il crollo del Muro, dopo che la guerra Fredda s’è sciolta, dopo che i confini geografici e ideologici si sono slabbrati e sgovernati.
Infine, non per spirito di scuderia, ma perché lo scrittore è un grande scrittore, aspetto con ansia e curiosità formicolante l’ultima prova di Francesco Permunian, Il gabinetto del dottor Kafka (Nutrimenti edizioni).
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