Back in the USSR
Massimiliano Di Pasquale / Legnostortosabato / 16 aprile 2011
«Il rischio di parlare della vita quotidiana di un’epoca trascorsa comporta, senza volerlo una certa dose di nostalgia. In primo luogo, però, come concetto, la nostalgia è in diretta contraddizione con l’ homo sovieticus, per il semplice motivo che è un’utopia rivolta al passato, mentre lui crea utopie rivolte al futuro. In secondo luogo, la nostalgia, come forma di ritorno a casa è impossibile, poiché per noi homines sovietici non esiste più una casa».
Vasile Ernu, scrittore e filosofo romeno nato in Bessarabia, regione compresa tra i fiumi Prut e Dnistr, attualmente suddivisa tra Moldova e Ucraina, è consapevole che narrare un mondo scomparso è impresa complessa e rischiosa.
Il rischio di uno sguardo offuscato dal sentimento della nostalgia (etimologicamente: il desiderio melanconico e violento di tornare in patria, ossia di rivedere i luoghi dove passammo l’infanzia e dove albergano oggetti cari, il quale è cagione di profonda tristezza e di tale sconcerto nell’economia animale, da produrre persino la morte) incombe da sempre, come una Spada di Damocle, su tutti coloro che decidono di raccontare, attraverso la letteratura, un’entità statuale o geopolitica che la Storia ha dissolto.
La sfida affrontata da Ernu in Nato in Urss, romanzo già vincitore del premio dell’Unione degli Scrittori Romeni per il debutto, uscito in Italia recentemente per i tipi della Hacca, è la stessa che riguardò a suo tempo scrittori del Finis Austriae come Roth e Von Rezzori che attraverso pagine di rara bellezza e sì, talvolta anche profondamente nostalgiche, rievocarono l’Impero asburgico.
L’autore romeno nella prefazione sembra particolarmente preoccupato dall’idea che un sentimento nostalgico possa inficiare la validità del suo libro.
Uso la parola libro piuttosto che romanzo perché a ben vedere Nato in Urss è una sorta di abbecedario del mondo sovietico. Ed è proprio la natura di abbecedario a renderlo estremamente interessante e al contempo potenzialmente oggetto di fraintendimento.
Ciò che sembra assillare Ernu è l’idea da un lato di fornire un ritratto eccessivamente benevolo di un mondo che è imploso per le sue profonde contraddizioni politico-sociali ed economiche, dunque sconfitto dalla Storia, dall’altro quello di portare acqua al mulino di tutti coloro che sono stati gli avversari di quel modello di società totalitaria.
«Guardando indietro, mi rendo conto che, una volta scomparsa l’Unione sovietica e il comunismo, qualcosa è andato perduto. Non saprei dirvi cosa. […] Non sono in grado di identificare con precisione la perdita, ma ne vivo tutta la tristezza».
E poi ancora: «Ritengo, con buona convinzione, che sia stato perso qualcosa di essenziale e significativo nella nostra esperienza umana. Ma questa perdita non può essere né sostituita, né riabilitata. Con un po’ di buona volontà, ritengo che una perdita del genere possa essere sola compresa».
Le pagine migliori di un lavoro riuscito, piacevole da leggere, sono quelle in cui Ernu fa prevalere la sua veste di narratore puro, dotato di una prosa brillante e ironica.
I 53 capitoletti che compongono quest’opera appaiono dunque simili ai tasselli di un puzzle che, una volta ricomposto, ci fornisce un’immagine non dico onnicomprensiva, ma sicuramente dettagliata dell’universo sovietico attraverso l’epica dei cosmonauti, il rock-jazz degli Stiliagy, i racconti sulla distillazione domestica di vodka, samogon e quant’altro («costruire il comunismo senza alcool è come fare il capitalismo senza pubblicità»), o il sesso all’interno delle komunalky (gli spazi abitativi in comune dove sotto lo stesso tetto alloggiavano più famiglie).
Meno convincenti invece i passi in cui Ernu, vestiti inconsciamente (?) i panni del comunista nostalgico, dimentica il registro ironico da narratore puro e indulge forse un po’ troppo verso la scintilla utopica di Lenin.
«Ripetere Lenin significa accettare che “Lenin è morto”, che la soluzione specifica da lui indicata ha fallito, anche in modo mostruoso, ma che dentro c’era una scintilla utopica che vale la pena di tenere accesa. Ripetere Lenin significa individuare la differenza tra quel che Lenin ha fatto realmente e il nuovo orizzonte che ha aperto. Non vuole dire ripetere ciò che Lenin ha fatto, ma ripetere i suoi tentativi mancanti, le sue possibilità perdute».
Vasile Ernu – Nato in Urss – Hacca Editore (2010) € 14,00, 328 pagg. Traduttore Bernacchia A. N.
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